Milano è la capitale del Private Equity italiano
Di Maria Chiara Consoli, redattrice di finewsticino.ch a Milano
Il numero di operazioni di private equity in Italia nel terzo trimestre 2025 ha toccato il massimo trimestrale degli ultimi cinque anni. Secondo il «Q3 2025 Italy market snapshot» di PitchBook, il valore delle transazioni è tuttavia risultato inferiore rispetto al trimestre precedente.
Il periodo è stato caratterizzato da uno spostamento nel mix delle exit a favore delle acquisizioni societarie, che hanno rappresentato oltre il 60 percento dei disinvestimenti. Tra le operazioni principali figurano l’acquisto di Marcolin per 1,2 miliardi di euro da parte di VSP Vision e quello di Prima Assicurazioni da parte di Axa per 856 milioni di euro.
Le luci e ombre secondo KeyPartners
Il trend positivo del private equity in Italia prosegue dopo che nel 2024 gli investimenti in capitali di rischio hanno raggiunto 47 miliardi di euro, sfiorando il record storico di 49 miliardi del 2022 e rafforzando il ruolo strategico di Milano nel panorama finanziario globale.
Un report di KeyPartners, società specializzata in executive search e consulenza HR, ha analizzato l’esplosione del private equity nel capoluogo lombardo, evidenziando punti di forza e criticità. Tra queste ultime, la più rilevante resta il divario nella gender diversity.
Il cambio di mentalità delle imprese familiari
Tra i fattori che alimentano il successo del private equity spicca il cambio di mentalità di molti imprenditori. Le nuove generazioni alla guida delle aziende familiari si mostrano più propense a stringere partnership con investitori istituzionali, senza temere la perdita di controllo societario.
A favorire il settore contribuiscono anche il regime fiscale agevolato per i residenti ad alto reddito provenienti dall’estero e la presenza in Italia di grandi fondi internazionali come Ares Management e Sienna Private Equity.
Stabilità politica e macroeconomica
La stabilità politica e macroeconomica degli ultimi mesi si riflette in uno spread tra Btp e Bund compreso tra 70 e 80 punti base, un ulteriore elemento che sostiene l’attività degli investitori.
Le retribuzioni restano uno dei principali fattori di attrattiva. Nei maggiori fondi europei, la combinazione tra salario base e bonus supera spesso 1 milione di euro. Nei fondi più piccoli, gli importi scendono a qualche centinaio di migliaia di euro.
Il ruolo del carried interest
Considerando anche il carried interest, la remunerazione complessiva può arrivare a 5 milioni di euro nei fondi più grandi e a 1,5 milioni in quelli più contenuti. In Italia, un Managing Partner di un fondo medio-grande può percepire fino a 1 milione di euro annui, cifra che supera i 2 milioni includendo il carried interest.
«Un aspetto che emerge con chiarezza dalle nostre analisi» spiega Walter Russo, co-fondatore e partner di KeyPartners «è la difficoltà nel reperire profili femminili: le donne presenti nel settore sono ancora poche, ma sempre più ricercate».
Una presenza femminile ancora limitata
Prosegue Russo: «Soprattutto in un’ottica di diversity e leadership inclusiva. È interessante notare come molti fondi evitino di assumere direttamente dall’investment banking tradizionale: il mindset richiesto nel private equity, orientato alla gestione di lungo periodo, è molto diverso da quello della banca d’affari».
Il report evidenzia che solo il 10-15 percento delle donne nei fondi italiani ricopre ruoli executive, con una presenza minima nelle posizioni di Managing Director e Partner.
Ostacoli culturali e iniziative per cambiare
La scarsità di role model, la cultura finanziaria storicamente maschile e la difficoltà nel conciliare ritmi di lavoro intensi con la vita personale – sottolinea lo studio – continuano a ostacolare l’ingresso e la permanenza delle donne nel settore. Alcuni fondi hanno avviato programmi di mentoring, percorsi di leadership femminile, politiche di flessibilità e iniziative di employer branding mirate.
Altri operatori stanno rivedendo più a fondo il proprio modello organizzativo, con l’obiettivo di renderlo realmente inclusivo e competitivo nel lungo periodo. Investire nella parità di genere, osserva lo studio, non è solo un tema di equità sociale, ma una leva strategica di crescita e innovazione.
Il nodo del work–life balance
Il bilanciamento tra vita privata e lavoro resta una criticità centrale per i professionisti del private equity. Lo studio rileva che la media settimanale supera le 60–70 ore, arrivando oltre 80 nei periodi di closing.
Il 70 percento dei professionisti under 35 considera la sostenibilità dei ritmi un fattore decisivo per restare nel settore. Tra i benefit più richiesti figurano flessibilità oraria, lavoro da remoto, assicurazioni sanitarie e pacchetti welfare.
Le direttrici future: Esg e trasformazione digitale
Lo studio individua le direttrici su cui si giocherà il futuro del private equity: da un lato l’Esg, i cui criteri attraggono investitori istituzionali e valorizzano le aziende in fase di exit; dall’altro la digital transformation, con AI, data intelligence e piattaforme cloud chiamate a ridisegnare processi, analisi e modelli operativi.


