Martin Janssen: «La Svizzera deve finalmente fare i compiti a casa»
Mentre gli Stati Uniti impongono dazi punitivi del 39 percento, in Svizzera alcuni politici propongono soluzioni sorprendenti: ridurre l’orario di lavoro fino alla fine della presidenza di Donald Trump.
Questa proposta, apparsa su un quotidiano zurighese «Tages-Anzeiger», ricorda l’idea, altrettanto assurda, avanzata da alcuni accademici durante la pandemia di congelare l’intera economia svizzera.
Nessuno aspetta la Svizzera
Gli Stati Uniti non aspettano nessuno – né la Svizzera, né l’Unione Europea. E certamente non per mesi o anni. La proposta svizzera è tanto più problematica se si considera che è probabile che la linea politica protezionista continui anche con futuri presidenti come J.D. Vance o Marco Rubio.
Gli Stati Uniti vogliono ricostruire la propria base industriale e hanno scelto di farlo attraverso i dazi. Sono perfettamente consapevoli che questo comporta costi in termini di benessere economico. Tuttavia, ritengono che sia il prezzo da pagare per recuperare l’autonomia industriale – una scelta politica che va rispettata.
Il vero problema è interno
Invece di rifugiarsi nel vittimismo, minacciare contro-dazi (come ha fatto il presidente del Centro, Matthias Bregy) o invocare il ritorno all’accordo quadro con Bruxelles – che implica accettare leggi, giudici e controllori stranieri – la Svizzera dovrebbe finalmente abbandonare la propria politica interventista: la strategia monetaria della Banca nazionale svizzera (BNS), la protezione dell’industria farmaceutica e la conseguente carenza di innovazione nel settore, la crescita dello Stato e la crescente regolamentazione dell’economia.
La BNS ha adottato per anni una politica dei tassi d’interesse artificialmente bassi per indebolire il franco e stimolare le esportazioni. Il risultato? Un’enorme esposizione in euro e dollari – quasi pari al reddito nazionale.
La BNS ha creato zombie aziendali
Questa politica ha zombificato interi settori: aziende sopravvivono grazie al credito a basso costo invece che alla competitività reale; la migrazione è incentivata, i fondi pensione penalizzati, il consumo diventa più caro. Gli Stati Uniti hanno già avvertito più volte la Svizzera, accusandola di compromettere gli equilibri commerciali globali.
I negoziatori svizzeri avrebbero potuto presentarsi a Washington con un’offerta concreta: una politica monetaria più realistica, la fine della protezione doganale per l’industria farmaceutica, e meno burocrazia per ridare spazio alla forza del mercato.
Un colpo di martello come sveglia
I dazi di Trump dovrebbero essere interpretati come una sveglia per la Svizzera. Non serve più Stato, ma meno regolamentazione, più concorrenza e soprattutto una politica monetaria razionale.
Un piano di riforme in questo senso potrebbe essere delineato in due settimane – se vi fosse la volontà politica. Sarebbe un bene per la Svizzera e un segnale positivo verso gli Stati Uniti, mostrando che il messaggio è stato recepito.
Post Scriptum
Mi auguro un Consiglio federale più sicuro di sé e più unito, che rappresenti gli interessi del popolo svizzero con determinazione, sia nei confronti dell’Unione Europea che degli Stati Uniti, mostrando rispetto verso i rappresentanti di Stati esteri, anche quando non se ne condividono le posizioni.
Era chiaro come si sarebbe dovuto gestire il dialogo con l’amministrazione Trump e con lo stesso Donald Trump. Ed era altrettanto evidente che un ministro degli esteri che, proprio in quei giorni, si esponeva pubblicamente a favore di uno Stato palestinese non ha certo aiutato la causa diplomatica della Svizzera.



      
      