Il riarmo dell’Europa mette gli asset manager in un dilemma

Non sarà divertente. Il premier francese François Bayrou parla di un «momento di verità». Per affrontare l’elevato debito pubblico, ha annunciato in questi giorni drastiche misure di austerità: meno dipendenti pubblici, accorpamento delle autorità, spese sociali e pensionistiche congelate al livello del 2025, e abolizione di due giorni festivi.

L’obiettivo di questa cura da cavallo: aumentare massicciamente il bilancio della difesa, senza violare le regole di deficit dell’UE.

«Non ci sono più scuse»

Nel vicino paese della Germania, il ministro della difesa Boris Pistorius sta invece perdendo la pazienza: l’industria bellica europea consegna troppo lentamente, nonostante i portafogli ordini pieni. «Non ci sono più motivi per lamentarsi. L’industria sa perfettamente che ora ha la responsabilità di fornire», ha dichiarato in un’intervista al «Financial Times».

L’Europa si sta riarmando come mai prima d’ora dalla fine della Guerra Fredda. La guerra in Ucraina e la crescente riluttanza degli Stati Uniti ad agire come poliziotto globale costringono gli Stati europei a ripensare la loro strategia di sicurezza.

Il problema: la maggior parte dei paesi è fortemente indebitata. Per finanziare l’espansione delle capacità dell’industria della difesa servono fonti di finanziamento alternative – ed è qui che entra in gioco il mercato dei capitali.

Gli investitori potrebbero trarre vantaggio da questo sviluppo: il titolo Rheinmetall, ad esempio, è aumentato di oltre venti volte negli ultimi cinque anni – rendendo felici molti piccoli investitori.

Aumenta la pressione politica

Ma per gli investitori istituzionali la situazione è più complessa. Per loro, la nuova ondata di riarmo è un campo minato morale e strategico. Numerosi fondi e veicoli d’investimento sono soggetti a linee guida ESG che escludono categoricamente investimenti in produttori di armi – in particolare quelli che producono armamenti controversi come le munizioni a grappolo o la tecnologia nucleare. Anche criteri normativi come il Global Compact dell’ONU portano all’esclusione di interi settori.

Allo stesso tempo, la pressione politica aumenta dall’altra parte. La difesa è sempre più vista come un bene pubblico. Il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente chiesto di non mettere più sotto accusa l’industria bellica – anche nel contesto degli investimenti sostenibili.

ONG come Exitarms sono preoccupate: «Solo perché la produzione di armi è necessaria, non significa che i fondi ESG debbano investire in armamenti», afferma l’analista Luca Schiewe. Già prima della guerra in Ucraina, l’industria cercava di presentarsi come compatibile con i criteri ESG – con successo limitato.

Rinuncia solo nei casi più gravi

Eppure esistono argomentazioni a favore: senza sicurezza esterna non c’è stabilità, non ci sono mercati funzionanti, né principi ESG.

Alcuni asset manager stanno già reagendo: definiscono criteri di esclusione più sfumati e rinunciano solo nei casi più estremi, come i produttori di sistemi d’arma controversi – rinunciando così anche al marchio ESG. Altri, invece, restano fedeli alle linee guida precedenti.

La domanda decisiva resta: può un investimento sostenibile escludere la difesa, quando si tratta di proteggere le società democratiche?

Una «S» in più per Security o Safety

Questa domanda è rilevante anche per la Svizzera. Lo scorso autunno, l’Associazione svizzera dei banchieri ha invitato i suoi membri a trattare le aziende del settore della difesa in modo «più differenziato e individualizzato» – ovvero ad aprirsi maggiormente, nell’interesse nazionale, a relazioni commerciali con esse.

Una possibile risposta per il mondo degli investimenti: ampliare il concetto ESG aggiungendo una «S» per Security o Safety. Da ESG si passerebbe a ESSG, dove per la seconda S verrebbero definite regole, proprio come per le altre tre lettere.

In questo modo si potrebbero soddisfare quegli attori che, pur non essendo amici dell’industria bellica, considerano accettabili – o addirittura necessari – gli investimenti nello sviluppo e nella produzione di sistemi di difesa a protezione della popolazione.


Dominik Buholzer 555

Dominik Buholzer è CEO e caporedattore di finews.ch/finews.com.