Mediobanca: dai fasti di Enrico Cuccia all’assalto dei nuovi barbari

 Di Maria Chiara Consoli, redattrice di finewsticino.ch a Milano

Un pezzo importante della storia bancaria e industriale del Paese passa agli archivi. Cerchiamo di capire perché questo sia accaduto.

Mediobanca è certamente stata vittima della consunzione del business model che l’aveva portata al centro del villaggio finanziario italiano. Nel corso degli anni è diventata sempre meno una holding di partecipazioni e sempre più una realtà concentrata sul wealth management.

Il calo dell’investment banking

Il Corporate and Investment Banking ha visto il suo peso sul totale dei ricavi diminuire sensibilmente nel corso dei lustri. Anni fa non esisteva dossier in cui non fosse presente Mediobanca. Da tempo non è più così.

Mediobanca è diventata progressivamente una banca normale, il mandato di Enrico Cuccia è andato esaurendosi e con esso l’aura di intoccabilità che aveva accompagnato l’istituto dalla sua fondazione.

Il patto di sindacato perde forza

Nel corso del tempo il patto di sindacato, un accordo parasociale che racchiudeva il gotha del capitalismo italiano, ha continuato ad assottigliarsi, perdendo pezzi e rilevanza. Nella sua ultima fase era divenuto un semplice accordo di consultazione, senza più ascendente o quasi sulla banca e, di riflesso, anche sugli equilibri del Paese.

Alberto Nagel e Renato Pagliaro, gli ultimi allievi di Cuccia, rispettivamente AD e presidente della banca, sono stati i fautori del superamento di uno schema di governance che era diventato obsoleto e di difficile comprensione in ambienti finanziari esterni al Paese. Una mossa corretta, ma che è stata l’inizio della slavina che anni dopo ha travolto la banca.

La rottura con gli Agnelli

A tradire l’Impero, proseguendo nella metafora cucciana, è stata anche la perdita di alleati storici. Il più potente di questi ex amici è la galassia che fa capo alla famiglia Agnelli, oggi guidata da John Elkann. Cuccia e Giovanni Agnelli erano stati più che sodali, si stimavano e rispettavano molto.

Ma nel 2003, quando il primo era scomparso da tre anni e il secondo da pochi mesi, Vincenzo Maranghi, erede di Cuccia, cercò di portare la Fiat, allora quasi sul baratro del fallimento, a una cordata guidata da Roberto Colaninno. Gli Agnelli scelsero Sergio Marchionne e chiusero ogni rapporto con Mediobanca, divenendone un fiero avversario dalla memoria lunghissima.

Delfin e i nuovi nemici liquidi

I fatti finanziari sono mossi da interessi, ma sono anche incardinati alla storia di chi li anima e alle rispettive vicende personali. Il più liquido degli avversari di Mediobanca è stata Delfin, società che racchiude gli eredi di Leonardo del Vecchio.

Il fondatore di Luxottica era divenuto un mortale nemico dei vertici di Mediobanca dopo che la sua proposta di investire 500 milioni di euro nello IEO – Istituto Europeo di Oncologia – fu respinta malamente da Renato Pagliaro che, di fatto, disse a Del Vecchio che non sarebbe stato all’altezza di gestire la società. Un’onta che il fondatore di Luxottica voleva fosse lavata. E i suoi eredi lo hanno fatto prendendo Mediobanca.

La scalata miliardaria

Mediobanca è caduta anche perché, per la prima volta nella sua storia, è stata aggredita da scalatori incredibilmente liquidi e capaci di mettere sul piatto le risorse necessarie per chiudere la partita. Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin hanno investito miliardi di euro acquistando azioni Generali e Mediobanca.

Il mercato ha fatto capire loro che la presa della compagnia assicurativa era di fatto impossibile. La scalata della banca, vista la perduta centralità rispetto al sistema finanziario italiano, è stata resa possibile dalle risorse messe sul tavolo e dal desiderio di molti ex compagni di viaggio di Mediobanca di esplorare strade diverse, come nel caso di Mediolanum, uno dei soci storici di Piazzetta Cuccia.

Il ruolo del governo Meloni

Ultimo, ma non meno rilevante attore a giocare contro Mediobanca è stato il Governo italiano. L’esecutivo di Giorgia Meloni gode di un rispetto sui mercati internazionali assolutamente inedito per l’Italia.

Caltagirone ha rapporti molto stretti con l’esecutivo e non è un mistero che il Governo vedesse di buon occhio la presa di potere del Monte dei Paschi su Mediobanca. Gli osservatori più critici sostengono che questo peso politico abbia indotto molti soci a non interferire coi piani del governo nel timore di ritorsioni su altri dossier.

Di certo anche l’Esecutivo è stato tra gli avversari più forti di Mediobanca.