Mediobanca, il futuro si gioca all’ultimo voto
Lo scontro in assemblea del 16 giugno sarà decisivo per il destino dell’operazione Banca Generali, ma anche per il ruolo di Nagel e per i fragili equilibri tra i grandi soci. Delfin e Caltagirone potrebbero non essere più così uniti, mentre il fronte del sì arranca.
L’assemblea di Mediobanca convocata per lunedì 16 giugno sarà un passaggio cruciale. I soci sono chiamati a pronunciarsi sull’offerta di scambio fra il 13% di Generali in mano a Mediobanca e l’intero capitale di Banca Generali. Il voto sarà tiratissimo, con l’esito in bilico fino all’ultimo secondo.
Non è solo in gioco un’operazione finanziaria: la votazione sarà uno spartiacque per il management, per i soci principali e per la capacità di Alberto Nagel, CEO di Mediobanca, di resistere all’assalto del Monte dei Paschi di Siena. Una sconfitta ne minerebbe la legittimazione e aprirebbe scenari profondamente diversi.
Cambio di fase inevitabile
A Mediobanca sanno che i tempi dello status quo sono finiti. Tuttavia, un cambiamento guidato da una vittoria sarebbe morbido e negoziato, mentre una sconfitta aprirebbe la strada a un reset più traumatico. Tra le ipotesi in campo, quella di un tandem con Nagel alla presidenza della nuova entità e Gianni Maria Mossa, attuale CEO di Banca Generali, alla guida operativa.
Ma il vero terremoto potrebbe essere politico: la fine della storica alleanza tra Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, finora unite nella contestazione a Mediobanca e Generali.
Milleri frena la fronda interna
Le crescenti polemiche sulla vicinanza di Caltagirone al Governo, le indagini sul collocamento Mps e le denunce di concerto presentate da Mediobanca hanno agitato le acque in casa Delfin. Diversi eredi del fondatore di Luxottica hanno iniziato a mettere in discussione l’alleanza.
Francesco Milleri, presidente della holding, ha dovuto calmare gli animi e bloccare le richieste di sciogliere il sodalizio o di dividere le partecipazioni pro quota. Per ora, il suo prestigio è bastato, ma non è detto che regga a lungo.
Astensione strategica
Delfin non è un raider finanziario: è un family office, e questo giustifica la possibilità che cambi presto strategia. In assemblea, l’astensione è considerata l’opzione più probabile: non schierarsi ufficialmente, ma contare comunque come voto contrario.
Con Delfin vicina al 20% e Caltagirone al 10%, il fronte del no parte da un solido 30%. Considerando una partecipazione attesa dell’80% del capitale, basterebbe il 40,01% per ottenere la maggioranza assoluta.
Nagel parte da sotto
Nagel può contare su un blocco di voti favorevoli poco inferiore al 23%. A sostenerlo c’è l’11% raccolto nel patto di consultazione e l’amico storico Unipol, che detiene oltre il 2% del capitale. A questi si aggiungono i voti annunciati di Blackrock (4,16%), Bank of Montreal (2,16%) e Borges Bank (1,45%).
Anche Artisan Partners, con una quota vicina al 2%, è considerata favorevole. Ma il totale resta ancora insufficiente per blindare l’operazione.
Incognite decisive
Tre grosse incognite potrebbero spostare gli equilibri. Le casse previdenziali Enpam, Enasarco e Cassa Forense detengono in tutto il 5% e secondo indiscrezioni sarebbero orientate per il no, in linea con i legami tra Enpam e Caltagirone.
Altri attori incerti sono i Benetton, con il 2,2%, che potrebbero optare per l’astensione. E poi c’è Unicredit: difficile capire se e quanto voterà. I bene informati ipotizzano una quota appena sotto il 3%, per evitare obblighi di comunicazione.
Nagel con i proxy, ma basterà?
In passato, il mercato ha sempre sostenuto Nagel. Anche ora, i proxy advisor Iss, Glass Lewis e Pirc si sono espressi a favore dell’operazione su Banca Generali.
Ma questa volta potrebbe non bastare. Il verdetto dell’assemblea sarà determinante, e l’esito è più incerto che mai.