Claudio de Sanctis non parlerà tedesco, ma è comunque arrivato ai vertici di Deutsche Bank, che secondo lui è l'ultima grande banca veramente internazionale. In un'intervista a finewsticino.ch, afferma che il mondo sta affrontando una complessità e una volatilità che non hanno precedenti.


Claudio, lei è cresciuto a Roma. È italiano o svizzero?

Mio padre è originario di Roma e mia madre di Berna. Proviene da una famiglia storica, le cui radici risalgono nei secoli. Per questo motivo ho sia la cittadinanza italiana che quella svizzera.

Eppure lei non parla quasi una parola di tedesco. Come mai?

A casa mia non si parlava in tedesco. I miei nonni materni emigrarono negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale e tornarono poi ad Anversa, in Belgio, dove mio nonno divenne un imprenditore di successo. Mia madre è cresciuta parlando francese. In seguito, quando viveva in Italia, in casa si parlava italiano e francese.

Lavorare in Deutsche Bank senza parlare tedesco è un problema?

Sorprendentemente, non lo è. Ho fatto presente la cosa durante il colloquio di lavoro a Christian Sewing (CEO di Deutsche Bank) che non ha ritenuto fosse un problema, visto che la lingua ufficiale dell'azienda è l'inglese.

«Con l'italiano e il francese, parlo due delle lingue nazionali del Paese»

E ora lavoro a Zurigo, che è uno dei centri internazionali più importanti, se non il più importante, per la gestione patrimoniale internazionale. Per lavoro viaggio molto, il tedesco non è un problema. Con l'italiano e il francese parlo due delle lingue nazionali del Paese, oltre all'inglese e allo spagnolo. Naturalmente, la situazione sarebbe completamente diversa se lavorassi nel settore bancario retail tedesco...

Prima di entrare in Deutsche Bank alla fine del 2018, lei ha lavorato sia per UBS che per Credit Suisse. Al settore bancario svizzero piace sostenere di aver inventato la gestione patrimoniale così come la conosciamo oggi. Ci sono delle differenze nell'approccio di Deutsche Bank?

Bella domanda. Non posso dire che la nostra offerta sia completamente diversa. Ma se si guarda a ciò che facciamo meglio di altri, tre cose ci distinguono. In primo luogo, abbiamo l’ambizione di essere internazionali e questo ci differenzia da gran parte della concorrenza.

Ma le grandi banche svizzere non sono tutte internazionali?

Sì, ma solo nella gestione patrimoniale e, in parte, nell'investment banking. Deutsche Bank, invece, ha una presenza internazionale con un’ampia gamma di prodotti e servizi. Ad esempio, abbiamo una vasta rete di filiali in Europa. A differenza di altri nostri competitor, non facciamo distinzioni tra il mercato statunitense e le attività internazionali, il nostro obiettivo è sempre quello di servire i clienti a livello globale. Mi riferisco a clienti privati e aziendali molto facoltosi, indipendentemente dal fatto risiedano a Francoforte, Los Angeles o Singapore.

Il secondo punto è lo stretto rapporto che abbiamo con la nostra attività di investment banking. La nostra organizzazione è progettata per consentirci di agire più rapidamente di alcuni dei nostri concorrenti. Siamo, credo, l'ultima grande banca ad avere sempre un’attenzione globale alle singole business unit che sono strettamente interconnesse, siano esse di credito, trading, consulenza, asset o wealth management. Sono convinto che questo ci permetta di avere una migliore visione d'insieme della situazione di rischio nostra e dei nostri clienti. L'ultimo punto, quasi il più importante, è che la nostra è una banca per imprenditori.

Lo afferma anche Credit Suisse.

Abbiamo un approccio nei confronti degli imprenditori che è molto completo, soprattutto in Europa.

Dovrebbe spiegarlo meglio.

Oltre alla Germania, abbiamo una presenza locale che si rivolge agli imprenditori in Italia e in Spagna e presto anche in Belgio. La nostra strategia è quella di fornire, a medio termine, una gamma adeguata di servizi finanziari alle imprese familiari di medie dimensioni in tutta Europa.

«La nostra presenza in Svizzera è strategicamente importante»

Rappresentano, probabilmente, il segmento in più rapida crescita e creano ricchezza con le loro attività imprenditoriali. Inoltre, non tendono a fare una netta distinzione tra il patrimonio privato e quello aziendale.

Come si colloca la Svizzera in tutto questo?

Abbiamo una piccola ma importante attività di corporate banking. Data la forte concorrenza in questo segmento, ci concentriamo sui clienti privati con patrimoni elevati e ultraelevati. Ma non escludo l’espansione di questa attività se scoprissimo che potrebbe soddisfare le esigenze dei clienti.

Come può crescere Deutsche Bank qui?

La nostra presenza è strategicamente importante, questo è uno dei nostri poli principali per la gestione patrimoniale internazionale, insieme a Londra, Arabia Saudita e Singapore.

«Ne sto discutendo con i consulenti alla clientela in questo momento»

Serviamo diverse aree da qui, tra cui il Medio Oriente e l'America Latina. Ci rivolgiamo anche a clienti NRI (indiani non residenti) e ad altri mercati emergenti, oltre a clienti provenienti da Grecia, Turchia e Israele. Tutti mercati in crescita.

I clienti tedeschi in Svizzera un tempo erano fondamentali per lei. Come va con loro?

Oggi la nostra attività si svolge principalmente con famiglie che hanno da tempo legami con la Svizzera o che risiedono qui ma che spesso operano a livello internazionale. Intendiamo ampliare ulteriormente questo segmento di clientela, soprattutto a Ginevra e Losanna, in modo da poter fornire servizi anche ai clienti monegaschi. Ne sto discutendo con i consulenti alla clientela in questo momento

In questo momento è facile attirare persone valide da Credit Suisse?

Abbiamo sempre assunto dipendenti da tutti i nostri principali concorrenti. Non facciamo discriminazioni tra i dipendenti delle due grandi banche svizzere o di altri concorrenti internazionali.

È un momento particolarmente difficile per il wealth management?

Non c'è dubbio che nei prossimi cinque-dieci anni vivremo in uno dei contesti più complicati che si siano mai visti. Non credo che ci siano state molte epoche così complesse e volatili come questa.

Cosa lo rende così complicato?

Il settore finanziario ha beneficiato di quello che è stato probabilmente il più lungo periodo di politica monetaria espansiva da sempre. Prima o poi doveva arrivare il conto. Ora l'inflazione è arrivata ed è esacerbata dalla crisi energetica e dall'invasione russa dell'Ucraina. Ma in un modo o nell'altro sarebbe arrivata comunque, è la conseguenza logica della politica monetaria ultra-espansiva di questi ultimi tempi.

«Dovremo affrontare tutte queste crisi molto seriamente»

Inoltre, stiamo vivendo un'instabilità politica che non si vedeva da tempo. Dobbiamo affrontare non solo la guerra in Ucraina, ma anche le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Cosa sta succedendo in Europa?

Dovremo affrontare tutte queste crisi molto seriamente, che però stanno offrendo all’Europa l’opportunità per compattarsi. Se si parte dal presupposto che ci vogliono delle crisi per farci migliorare tutti, ora abbiamo un'occasione unica per superare le differenze intraeuropee. Non possiamo sapere se il risultato sarà positivo, sicuramente non sarà del tutto indolore.

Il nostro obiettivo al momento è quello di strutturare i portafogli e gli asset dei nostri clienti in modo tale che siano protetti dall'instabilità che stiamo vivendo.

Nel frattempo, vi siete separati dai clienti russi per i ben noti motivi. Come è successo?

Abbiamo iniziato a considerare i nostri rapporti con i clienti russi otto anni fa. Non è stato un processo immediato. Né è iniziato in Svizzera, ma è stato a livello internazionale.

A quanto ammontavano gli asset che avete bloccato?

Non possiamo indicare una cifra. Quello che posso dire è che l'importo totale è stato irrilevante per noi.

La Svizzera ha abbandonato la sua neutralità adottando le sanzioni degli Stati Uniti e dell'UE?

La mia opinione personale è che la Svizzera ha dovuto aderire ai piani elaborati dagli Stati Uniti e dall'UE. Come banca applichiamo le sanzioni non solo dal punto di vista svizzero ma a livello globale, ovunque siamo attivi operativamente.

Quindi, ribadisco, la Svizzera ha rinunciato alla sua neutralità?

È una domanda complicata. Ed è una questione più politica che economica. A mio avviso, la Svizzera non aveva altra scelta. Chi non è d'accordo dovrebbe tenere presente quanto l'economia svizzera, su cui si basa la nostra prosperità, sia interconnessa con gli altri Paesi, in particolare con l'UE.

«Le sanzioni adottate dall'Occidente hanno causato uno shock, soprattutto in Asia»

Non mi riferisco tanto al settore finanziario. Prendiamo ad esempio Nestlé, che ha una capitalizzazione di mercato più grande di tutte le banche svizzere messe insieme. O le aziende farmaceutiche... Chiunque si esprima contro le sanzioni dovrebbe riflettere bene se vogliamo davvero mettere a rischio quella che è un'economia solida e sana.

I vostri clienti internazionali si sono stupiti per l'adozione delle sanzioni da parte della Svizzera?

Non esplicitamente riguardo la Svizzera, ma in generale. Le sanzioni adottate dall'Occidente hanno provocato uno shock, soprattutto in Asia.

Perché?

Da un lato, ci si è chiesti subito in quale parte del mondo si fosse ancora al sicuro e, dall'altro, si è temuto che altri individui potessero essere colpiti se fossero state imposte ulteriori sanzioni contro determinati regimi.

Che ruolo ha ancora il segreto bancario svizzero?

Il segreto bancario è cambiato enormemente negli ultimi venti o trent'anni. Bisogna dire che i clienti di Deutsche Bank sono molto legati al concetto di discrezione. Che significa discrezione nei confronti di terzi, ma non nei confronti delle autorità governative, tanto più che la Svizzera ha ormai uno scambio automatico di informazioni (AEOI) con più di 100 Paesi.

Cosa intende esattamente per concetto di discrezione?

In Svizzera non devo insegnare la discrezione a chi inizia a lavorare nella nostra banca. La discrezione è parte integrante del sistema bancario svizzero. In altre parole, come gestore patrimoniale, la discrezione è nel mio DNA.

Quali saranno i prossimi trend della gestione patrimoniale?

A questa domanda devo rispondere che per me la gestione patrimoniale è sempre molto personale. I cosiddetti trend variano da area ad area e ancor più a seconda dei clienti. Le faccio degli esempi. Per i clienti privati molto facoltosi, con un patrimonio di 30 milioni di dollari e oltre, la digitalizzazione è al massimo un "nice to have", ma non certo un “must to have”. Per i clienti appartenenti a fasce più basse, invece, è essenziale, fondamentale.

«Le persone che investono i loro risparmi vogliono confrontarsi con qualcuno di cui si fidano»

Non credo che ci possa essere ancora un enorme potenziale di crescita in un business puramente digitale. In fin dei conti, chi investe i propri risparmi vuole poter parlare con qualcuno di cui si fida. E un'altra cosa. Una delle principali lacune della gestione patrimoniale è quella di trascurare i clienti con un paio di 100.000 dollari da investire.

Perché?

Queste somme non sono interessanti dal punto di vista del private banking perché non rendono molto. Ma sono molto importanti per le persone interessate, perché spesso rappresentano tutti i loro risparmi. E se guardiamo ai prossimi dieci anni, che probabilmente saranno più difficili che facili, l'interazione personale nel settore bancario a tutti i livelli tornerà a essere molto più importante.

Ma lavorare con il cosiddetto segmento affluent è oneroso.

Diventerà quindi ancora più importante trovare modelli ibridi. Una cosa è certa: il contatto personale sarà più richiesto che mai. E poi alcuni clienti affluent possono diventare milionari.

Quali sono le altre tendenze della gestione patrimoniale?

Per quanto riguarda gli investimenti, vedo una tendenza verso il venture capital. Gli investimenti in società private non quotate diventeranno molto più importanti, perché non esiste più una politica monetaria che garantisce un aumento incessante dei prezzi di borsa, come quello che abbiamo visto negli ultimi vent'anni. I tassi di interesse sono in aumento e c'è la minaccia di un indebolimento dei tassi di crescita, almeno per il momento.

«Mio nonno e mio padre erano già nel settore bancario»

Dal punto di vista geopolitico le cose stanno cambiando, e molte cose non sono assolutamente prevedibili. La globalizzazione, che ci ha portato enormi guadagni di efficienza negli ultimi due decenni, ha rallentato. In questo contesto, gli investimenti non correlati al mercato azionario hanno un futuro brillante.

Infine, ma non meno importante, l'ESG è un megatrend, ma non facile.

Perché?

Perché i criteri di sostenibilità – ambientali, sociali, di governance (ESG) – sono estremamente difficili da implementare negli investimenti finanziari. A mio avviso, questo è uno dei pochissimi settori nel mondo finanziario che ha bisogno di più regolamentazione, non di meno. Sono necessarie maggiori indicazioni affinché il settore possa attuare i criteri di sostenibilità in modo corretto e trasparente.

Perché è diventato banchiere?

In parte è dovuto alla famiglia: mio nonno e mio padre erano già nel settore bancario. Ma è stato anche un caso. Studiavo filosofia e vivevo a Londra, dove dopo l'università lavoravo come postino per guadagnarmi da vivere. Mio padre mi raccomandò a un job recruiter, che notò che parlavo correntemente italiano, francese, inglese e spagnolo. Era una cosa rara per un italiano. Ritenne che avrei avuto un grande futuro nel settore bancario e così è iniziato tutto.

Cosa la affascina di questo lavoro?

L'interazione con i clienti. Al giorno d'oggi questo è spesso difficile, perché tutti sono molto specializzati. Come medico, ad esempio, sei specializzato – diciamo – in chirurgia e così via. La gestione patrimoniale, invece, è ancora una professione diversificata in cui è un vantaggio essere un generalista per poter trattare con successo sia con gli imprenditori che con gli HNWI (persone ad alto patrimonio netto) che, spesso, sono personaggi molto stimolanti, con molta energia ed entusiasmo.

«L’etica per me è fondamentale»

Infine, ma non meno importante, è un'attività con una componente molto internazionale che mi ha portato in molti luoghi durante la mia carriera.

Cosa cerca quando assume le persone?

Guardo ai loro valori, l’etica per me è fondamentale. Cerco anche la coerenza nei singoli CV, molti candidati sottovalutano l'importanza del loro curriculum. Quanti lavori hanno avuto, e come sono cresciuti nei loro ruoli e funzioni? Cerco persone determinate a fare la differenza e a svolgere il proprio lavoro con costanza.

Qual è stato il miglior consiglio che le hanno dato i suoi genitori?

L'importanza della coerenza. Puoi essere la persona più intelligente della stanza, ma alla fine è l’avere una certa coerenza che fa la differenza.

Dove e come trova l'equilibrio nella sua vita professionale?

Quando sono con mia moglie e con i nostri tre figli, idealmente vicino, dentro o sul mare.


Claudio de Sanctis è a capo dell’International Private Bank di Deutsche Bank e CEO dell’area EMEA del gruppo. È entrato a far parte del gruppo alla fine del 2018, quando è stato nominato prima CEO di Deutsche Bank Svizzera e, successivamente, global head of wealth management. È membro del comitato di gestione del gruppo. In precedenza ha ricoperto diversi ruoli di leadership presso Credit Suisse e UBS, sia in Svizzera che a Singapore. Ha conseguito una laurea, magna cum laude, in filosofia presso la Sapienza Università di Roma.